Il mio paese

di Vincenzo Gennaro

Sdraiato sulla cresta di un monte come una nobildonna sul coperchio di un sarcofago etrusco di Volterra si crogiola al sole di una estate che arde come legna resinosa nel fuoco alimentato da un venticello caldo di scirocco che come un mantice alimenta di ossigeno la fiamma che si ravviva perche soffia via la cenere.
Non urla questo vento come la tramontana quando d’inverno scoperchia i tetti, sradica cipressi dell’Arizona , solleva tormente di neve ed ululati facendo ghiacciare il sangue nelle vene, ma non sono ululati di branchi di lupi grigi famelici e affamati, sono i suoni e le urla della tramontana che incutono terrore e fanno rannicchiare tutti come conigli nelle tane.
Ma non è lo scirocco, ne la tramontana, ne il maestrale che viene dalla Francia per l’esattezza dalla Normandia che soffia con dolcezza, intiepidisce l’aria e da sollievo alle membra affaticate dei contadini che si consumano come le candele al caldo rovente dell’estate a farmi paura ne a farmi rabbia e nemmeno i venti di levante e di ponente.
Il vento che mi fa paura, accende la mia rabbia e mi tormenta è il vento dello spopolamento dei miei borghi, sempre più belli ma più vuoti, mi fa male la desertificazione ed il silenzio come quello dei villaggi costruiti per girare films western e poi abbandonati, anche se i nostri borghi continuano a luccicare al sole come smeraldi brasiliani di giorno e sfavillano di notte come diamanti sud africani lavorati e tagliati ad Amsterdam.
Ma i nostri borghi sono vuoti, splendidi contenitori di bellezze, scrigni di pregevoli tesori, palazzi storici nobiliari sontuosi dove si sentono ancora le voci ed i passi dei gattopardi ballare e discutere su come gestire il mondo e le sue cose .
Io conosco il nome di quel vento che in poco tempo ha spazzato via tutto e so da dove viene, ha spazzato via le cose preziose che avevamo: le maestranze, le conoscenze, le competenze artigianali, ha inghiottito i sapori ed i saperi della nostra terra garantendo in cambio un poco di assistenza come nelle riserve indiane.
Questo il vento che mi fa paura, il vento della servitù che promette e dà sopravvivenza a stento e ti spoglia della tua libertà, indipendenza ed autonomia di azione e di pensiero, così diventi merce che si compra con qualche mese di lavoro e ti mette all’ubbidienza eterna.
Ma i giovani hanno studiato e hanno capito tutto, fuggono, abbandonano di notte la riserva indiana, figli di una diaspora che li disperde nel mondo come l’erba del vento in cerca di dignità e di libertà, in fuga dalle promesse vane, per questo nella piazza del popolo il popolo non c’è, è andato altrove ad inseguire un sogno.
La colpa non è certo di chi amministra oggi, questo vento viene da lontano, quando i servi della gleba poveri e ignoranti hanno creduto ai giochi di prestigio di politicanti cinici ed astuti che li hanno tratti in inganno, a volte forse in buona fede ma non sempre.
Oggi si cerca affannosamente di ripopolare i borghi, le iniziative fervono, le idee non mancano e la volontà nemmeno sia degli amministratori che dei giovani rimasti, vogliono tentare il tutto per tutto prima di fare le valigie e andare via.
Così si cerca, si sperimenta e si prova, ogni tentativo è buono ma non è facile .
Dopo dieci anni di esilio ad Henna, non fu facile nemmeno per Entella ripopolare il borgo conquistato dai Cartaginesi durante la prima guerra punica. Non furono le sagre, i concertini, i tornei di briscola e la cuccagna, non fu la corsa nei sacchi ne gli assaggini di prodotti tipici a ripopolare Entella .
Fu l’aiuto delle città Elime sorelle che donarono soldi, grano e orzo, come recitano le tavole di Entella Furono le città di Katiattara, Sghembri, Petra, Henna, Assoro, Segesta, Gela , tutte diedero qualcosa alla sfortunata Entella, le citta dirette dagli Arconti e i cittadini singoli citati con nome e cognome con i medimmi di grano che donarono e fu il duro lavoro di riseminare l’orzo , il grano ed altre cose a risollevare Entella, da sola non ce l’avrebbe fatta .

C vogliono nuovi saperi, nuove conoscenze e competenze per fare dei saperi e delle competenze perdute del nostro prestigioso passato un motore di sviluppo per la nostra resurrezione, ci vogliono nuove idee e tanta capacità di ascolto.

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