Ero piccolo, molto piccolo
di Vincenzo Gennaro
Ero piccolo, molto piccolo, forse
quattro cinque anni non ricordo, non posso ricordare, ricordo solo che mio
padre mi portava in braccio avvolto in un ampio e lungo mantello di panno blu
con ampio cappuccio e ganci di chiusura in ottone dorato raffigurante la
testa di un leone a rilievo in vista frontale . Io però in braccio a mio padre
non dormivo, ero letteralmente aggrappato, ma carezzavo con il dito indice
della mano destra la testina del leone a rilievo.
Forse in quel momento nasceva
pian piano il mio amore per l’arte, il bronzo e la scultura, in braccio a mio
padre amoreggiando con la testina di leone in ottone dorato dei ganci del
suo mantello.
Mio padre è morto da tempo,
ma quel mantello io ce l’ho ancora e ogni tanto lo guardo e lo interrogo come
un oracolo. Quella borchia circolare non è più grande di un tappo di bottiglia,
ma avrei voluta farla io quella testina, poi il destino ed il signore vollero
che io diventassi titolare della cattedra di scultura all’istituto d’arte e
scultore. In cinquanta anni di carriera artistica ho sin’ora
ho realizzato oltre 860 sculture sparse sui cinque continenti, ai quattro
angoli del mondo. Il futuro è imprevedibile, veramente un mistero, io lo chiamo
miracolo.
Così abbracciati e avvolti
nel mantello, scalando le stradine in selciato di uno dei borghi più belli del
mondo e la salita innevata di Via Garibaldi a Petralia Soprana, arriviamo in
piazza Madrice. La piazza era spazzata da venti impetuosi che urlavano e
ruggivano come il leone della borchia a cui ero aggrappato.
La tormenta di neve invano
tentava di sradicare il colonnato gaginesco del portico della
chiesa Madre mentre io mi rannicchiavo nelle pieghe sempre più profonde del
mantello senza tuttavia lasciare la borchia con il leone a rilievo. Entriamo
finalmente nella chiesa dal maestoso portale gotico catalano mentre un dotto
predicatore cercava di trascinare i fedeli nell’estasi dell’ardore
mistico del Santo Natale.
Non ho mai dimenticato nemmeno
per un attimo il mio incanto e l’ipnosi nel guardare le grandi tele, le pale
d’altare , le superbe sculture dei santi Pietro e Paolo, superbe per
bellezza si intende e tutte le altre, esploravo con lo sguardo sino a
farmi venire il torcicollo e mi fermavo ritmicamente sui dipinti della volte a
botte con gli occhi spalancati e l’anima sospesa.
Allora il Crocifisso di
Frate Umile Pintorno non era ancora nell’altare maggiore della navata
destra della chiesa dove oggi si trova, era su un altare laterale destro
della Chiesa di Santa Maria di Gesù annessa al convento dei frati minori
riformati di stretta osservanza che era stato inaugurato nell’anno del
signore 1611 quando frate Umile aveva 11 anni.
La chiesa ha ancora, grazie
a Dio, un meraviglioso portale in pietra intagliata a basso rilievo da mani
sensibili, menti sapienti e cuori generosi, un vero merletto
fatto da sudore, lacrime e fede ma soprattutto di amore infinito per la
bellezza e per l’arte.
Seduto accanto a mio padre su un
banco, infreddolito avvolto in un lembo del suo mantello, scrutavo, ammiravo,
contemplavo e giravo la testa in tutte le direzioni per registrare le forme, i
colori, i movimenti delle figure nelle tele.
Ero magneticamente attratto dalle
prospettive, dai dettagli anatomici, dalla solennità dei movimenti.
In particolare ero attratto
dalla grande tela dell’altare maggiore che si impresse nella mia mente in
modo indelebile, la guardavo in stato di ipnosi, con la mente ricostruivo
l’impianto compositivo strutturato in diagonali sulle quali le figure si
disponevano, avevo capito il progetto dell’artista. Non l’avrei mai più
dimenticato, quella lezione fu la madre di tutte le lezioni, nessun altra fu
mai più incisiva e determinante come fonte di ispirazione dei miei ormai
cinquanta anni di attività febbrile di scultore. Vincenzo Gennaro
Quel quadro riemerge
periodicamente dalle profondità della mia memoria come un cetaceo che
attraversa gli oceani e riemerge tuttora come una icona ancestrale, se potete
andate a vederlo e capirete anche voi .
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